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Antropocene: l’impronta dell’uomo

Una nuova parola ha iniziato a emergere qua e là nei più disparati ambiti: Antropocene.


Ma di che si tratta?

Alcuni studiosi (in particolare geologi, biologi e studiosi di scienze della terra) si sono trovati a confrontarsi con problemi totalmente nuovi. Problemi ambientali principalmente: la parola è stata usata per la prima volta dal biologo Eugene Stoermer negli anni ’80 del ‘900, ma ha avuto grande successo e diffusione solo dopo che la usò il premio Nobel Paul Crutzen in una conferenza in Messico negli anni 2000. Crutzen usa questo concetto per indicare la pervasività dell’azione dell’uomo verso la natura. L’idea centrale è proprio questa: l’azione dell’uomo è diventata così impattante da far pensare all’entrata del mondo in una nuova era geologica, immediatamente successiva all’Olocene.

La fondamentale differenza di questa era rispetto a tutte le altre è che in essa è l’uomo a produrre i grandi cambiamenti climatici: egli è diventato una forza geologica. Questa idea va a distruggere la tradizionale divisione fra uomo e natura: più aumenta l’attenzione a questo concetto più ci si accorge che esistono davvero poche cose sul nostro pianeta a essere totalmente incontaminate.

L’uomo e la natura hanno operato e continuano a operare sempre di più la loro fusione: viviamo in un mondo di ibridi, elementi né totalmente naturali né totalmente umani. Le foreste, per esempio. Le foreste vergini (cioè quelle cresciute senza l’influenza dell’uomo) sono molte meno rispetto a quelle che ci si potrebbe immaginare: molte di più sono le foreste cresciute anche solo con una piccola interazione dell’uomo.



Talvolta quell’interazione le ha rese dipendenti dall’uomo, tanto che l’abbandono delle foreste da parte dell’uomo può causarne la morte. Si è creata un’interdipendenza quindi, che in questo caso non è qualcosa di negativo, anzi, è un principio costruttivo, a patto che venga riconosciuto e rispettato. È vero però che la maggior parte dei fenomeni portati in luce dall’Antropocene sono negativi: è Antropocene tutto ciò che riguarda il cambiamento climatico, un cambiamento che non è più naturale e che sta avvenendo troppo velocemente. Per quanto il concetto di Antropocene sia ormai diffuso esso non ha ancora confini definiti e i suoi vari teorizzatori hanno opinioni discordanti persino sulle date di inizio di questa nuova era. Quello che conta però è che una simile idea viene a mettere al centro dell’attenzione fenomeni che non possono più essere ignorati. Qualunque sia il mezzo è importante proprio questo: la presa di consapevolezza. Mi sembra facile allora accostare il lavoro fatto da questi scienziati che si muovono attorno a questo concetto a quello di un artista come Julian Charrière, artista contemporaneo che sottolinea con la sua arte proprio la potenza distruttiva dell’uomo e le caratteristiche del mondo in cui ci troviamo a vivere.

Nella mostra tenutasi quest’estate al MAMBo, All We Ever Wanted Was Everything and Everywhere, sono esposte alcune opere che denunciano gli effetti devastanti a ancora oggi presenti delle sperimentazioni atomiche di USA e Russia rispettivamente nell’atollo di Bikini e in Kazakistan. Alcuni studiosi vorrebbero far corrispondere l’inizio dell’Antropocene proprio con lo scoppio della prima bomba atomica: le foto del poligono dell’URSS in Kazakistan di Charrière sono state appoggiate a terra e le radiazioni che il suolo ancora emana hanno lasciato le loro tracce. Tracce di un’impronta umana più significativa di ciò che spesso crediamo.




Francesca Torchio

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