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“Habemus decretum!” Esegesi e interpretazione del decreto Liquidità alla luce del diritto societario

Aggiornamento: 20 mag 2020

La situazione (sanitaria prima ancora che economica) che il Bel Paese sta attraversando non è facile; inutile giammai compiere giri di parole sui soliti slogan che tempestano il dibattito nella vita politica italiana, vieppiù sulla “pura retorica” che si sente continuamente nei dibattiti dei salotti nostrani, ove professoroni da quattro soldi e politici e/o politologi in cerca di qualche punto di consenso in piu’ si accingono a sparare sentenze a destra e manca (o a sinistra, se preferite,della stessa sostanza insomma,come ormai ci siamo abituati) su talune misure (giuste) che effettivamente servirebbero al Paese per ripartire: più soldi ai cittadini, più liquidità e sostegno alle imprese (peraltro non già in buone condizioni sul mercato), meno burocrazia nei procedimenti amministrativi, eccetera. Senza nulla togliere a tali mirabolanti affermazioni, seppur corrette e concretamente attuabili, se solo non fosse per la ormai assuefazione alla superficialità nell’esposizione propria dei soggetti testé menzionati, c’è perciò l’esigenza di fare chiarezza su tali questioni, entrando “a gamba tesa” nei tecnicismi normativi (ahimè, tocca anche questo!) e analizzandoli profondamente alla luce dei testi di legge adottati dal Governo in detto periodo.





Lo spunto di riflessione e di studio lo offre il d.l.18/2020, il c.d. Decreto Liquidità, entrato in vigore il 9 aprile, che prevede talune “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali“.


Preliminarmente e svincolandosi dalla mera visione interna, connotata da talune misure di stampo prettamente societario, ciò che balza all’occhio dell’attento lettore nei primi due capi del decreto è l’articolo 5, il quale stabilisce, attraverso rinvio, il differimento dell’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi di impresa e della Insolvenza al 1 settembre 2021, circa un anno dopo di quanto era stato disposto all’atto della entrata in vigore del decreto. La proroga, a mio avviso, si rende necessaria, dato che gli uffici non sarebbero ancora pronti a costituire e comporre i nuovi organismi istituiti dal Codice testé menzionato. Quanto alle istanze di fallimento depositate, queste rimarrebbero “congelate” sino al 30/06/2020: la ratio parrebbe quella di attendere l’evolversi della situazione a livello normativo - regolamentare: potrebbero, infatti, pervenire nuove risorse all’impresa (o una linea di credito agevolata), evitandole il fallimento.


Analizzando con attenzione il decreto Liquidità in pochi dei suoi (numerosi e puntuali) articoli, si scorgono rinvii significativi al tema del diritto societario (agli articoli da 6 a 8 compresi), in particolare riguardanti le società di capitali, in cui funzione preminente riveste il “capitale”, come garanzia generica di soddisfacimento dei creditori sociali per le obbligazioni contratte per la società medesima (ad esempio, il pagamento dei fornitori) e in cui le disposizioni in tema di aumento e (soprattutto) riduzione del capitale rivestono una certa “delicatezza”, soprattutto in tale periodo, connotato da riduzioni spesso obbligate e forzate del capitale, in conseguenza di perdite derivanti dalla mancata attività imprenditoriale.


A tal guisa, l’art. 6 stabilisce, testualmente, che “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 […] non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo (che disciplinano la riduzione del capitale della società per perdite di oltre un terzo, fattispecie che comporterebbe la convocazione dell’assemblea ordinaria della società stessa, la quale sarebbe tenuta a prendere i relativi provvedimenti, talvolta drastici), 2447 (che disciplina la fattispecie della riduzione del capitale della società al di sotto del minimo legale,con conseguenze anche gravi che porterebbero invero alla possibile trasformazione della società in un altro tipo, come la società di persone, in cui la funzione del capitale è ridotta ), 2482 -bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile” valevoli per la srl, alla stregua della disciplina riportata precedentemente per le spa. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile.


E’ dettata, in chiaro favor per le società già in difficoltà, una disciplina derogatoria atta ad evitare conseguenze drastiche, che rinvia l’applicazione della normativa summenzionata al nuovo anno: infatti tali deroghe valgono fino al 31 dicembre 2020, con l’instaurazione del c.d. “anno di grazia”, a conseguenza appunto del differimento dell’obbligo di ripianare le perdite del capitale sociale all’esercizio successivo.


L’articolo 8 dispone che “Ai finanziamenti effettuati a favore delle società […] non si applicano gli articoli 2467 e 2497 quinquies del codice civile […]”. Gli articoli succitati fanno riferimento ai finanziamenti “travestiti da capitale” effettuati dai soci di srl alla società stessa: tale problema si ricollegherebbe al fenomeno della sottocapitalizzazione della società e costituirebbe una conseguenza dannosa, atteso che i soci finanziatori verrebbero considerati a tutti gli effetti creditori della società, alla stregua di creditori terzi non soci, con conseguenze di rilievo sia nella restituzione in conto capitale ed interessi, sia nelle informazioni sullo stato della società e dei libri sociali, precluse a creditori terzi. La norma quindi tende ad evitare tale fenomeno elusivo, disponendo la postergazione della soddisfazione dei soci finanziatori dopo il soddisfacimento dei terzi creditori. Ora, l’art.8 del decreto in questione mira a derogare a tale disciplina, a mio avviso per due ragioni: posto che la dottrina prevalente e la giurisprudenza ritengono che l'obbligo di postergazione abbia natura processuale (e quindi la società sarebbe tenuta a postergare il rimborso dei finanziamenti dei soci soltanto in presenza di un procedimento di liquidazione concorsuale), fuori da tali ipotesi la società potrebbe invero rimborsare il finanziamento dei soci senza dover preventivamente pagare tutti gli altri creditori sociali. Leggendo tale orientamento interpretativo in combinato disposto con l’art. 10 dello stesso decreto Liquidità, per cui tutti le istanze fallimentari al momento sono improcedibili, è chiara la posizione di favore creatasi per i soci finanziatori e il salvataggio delle loro ragioni creditorie: essi avrebbero diritto, dunque, alla restituzione del credito (in conto capitale e interessi) versato a favore della società indipendentemente e al di fuori di una procedura liquidatoria concorsuale, con ciò facendo rientrare il denaro investito, che si badi essere di rilevante quantità e se non altro idoneo a restituire liquidità alle famiglie, che in tale periodo costituisce una vera e propria “boccata d’aria”.





Ultimo oggetto di sforzo interpretativo personale (ma non in quanto ad importanza) e svincolando il discorso dal diritto societario in sé, è la lettura dell’art. 5 della legge fallimentare, alla luce della situazione attuale: lo stato di insolvenza evocato dalla norma poc’anzi citata, che costituisce invero il presupposto oggettivo per la proposizione della istanza di fallimento (senza la quale non ci potrebbe essere, quindi), si “colora” dell’avverbio “regolarmente”, contenuto nel secondo comma, implicante cioè una situazione in cui il debitore - imprenditore non riuscirebbe ad adempiere “regolarmente” alle obbligazioni sociali. Facendo un ragionamento al contrario e ripercorrendo la “ratio” della norma, si imporrebbe al Giudice fallimentare una interpretazione adeguatrice, anche in relazione all’art. 3 Costituzione (che sancisce il principio di eguaglianza), discernendo le situazioni di insolvenza determinate da situazioni regolari e situazioni conseguenti alla attuale contingenza, evitando in tal modo una moria generalizzata di imprese, fondamentali nel tessuto sociale e motori di ricchezza e lavoro, principio che spesso si dimentica essere posto a fondamento della Repubblica, all’articolo 1 della nostra Carta costituzionale.




Alessio Vercellone



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