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Memoriale #2: italiani brava gente


« Libertà: facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo; in termini filosofici, quella facoltà che è il presupposto trascendentale della possibilità e della libertà di volere, che è a sua volta fondamento dell’autonomia, responsabilità e imputabilità nell’agire umano nel campo religioso, morale, giuridico »

Due date capitali dovrebbero essere nel cuore di tutti i cittadini italiani: una è la festa della Liberazione, quando CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) il 25 aprile 1945 proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori occupati ancora dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane di attaccare i presidi fascisti e tedeschi al fine di imporvi la resa. L’altra data è il 1° maggio, la festa dei lavoratori, che pone le sue radici nel lontano 1886 quando a Chicago uno sciopero generale di operai, appoggiati dal movimento anarchico, contro lo sfruttamento e per la richiesta delle 8 ore lavorative si trasformò in una repressione da parte delle forze dell’ordine, le quali spararono sui manifestanti; risultato: undici morti ed altrettanti feriti. Come se non bastasse si arrivò alla pena di morte per otto manifestanti, ovviamente tutti immigrati (tedeschi n.d.a.), in seguito riconosciuti come innocenti, ai quali verrà attribuito il nome di “martiri di Chicago”.

Lungi dalla valenza simbolica che necessariamente assumono, questi due avvenimenti portano in sé un grande insegnamento, prima di tutto storico, ovvero che gli esseri umani sono capaci di responsabilizzarsi, di costruire e di co-operare liberamente, al fine di mettere in atto principi più democratici. In questa quarantena “all’italiana”, caratterizzata da una costante contraddittorietà, si sono viste numerose sfumature sui comportamenti da assumere e di conseguenza assunti. Anziché però percorrere la strada della fiducia nel buonsenso civico, l’Italia ha intrapreso quella via (ahimè, a lei ben cara e nota) dell’autoritarismo. La tanto criticata ed infangata Svezia ci ha dato una importantissima lezione di democrazia e di che cosa realmente significhi. Come scrive lo scrittore Wu Ming 1: «immaginare che gli esseri umani debbano essere coscritti, conculcati, controllati, perché altrimenti, per loro natura, non sarebbero in grado di regolarsi; ovvero che debbano adeguarsi senza discutere ad un modello che li trascende, che sia la Tradizione, la parola del Capo o il parere degli Esperti. Questo è pensiero reazionario. All’opposto si pongono invece le forze che cercano di trasformare in soggetto ciò che viene considerato oggetto, perché ritengono gli esseri umani capaci di cambiare, migliorare, rendersi responsabili attraverso le relazioni, costruire soggetti collettivi, prendersi cura gli uni degli altri». La democrazia si basa proprio sul ritenere le persone, tutte le persone, come soggetti attivi e capaci di portare mutamento; relegarli ad automi incapaci di agire e di pensare senza la presenza di uno stimolo esterno (skinneriana memoria) è quanto di più anti-democratico possa esistere. Del resto si sono già viste forme di autoritarismo in ambito governativo, non soltanto nel più mainstream attacco alle opposizioni a reti unificate (intendiamoci: Salvini, Meloni e compagnia bella professano forme autoritarie ben peggiori e più pericolose), ma soprattutto nella retorica utilizzata nelle dirette televisive. Perché ciò che conta non è la pacatezza della voce o del portamento del premier (uno dei tratti più blasonati dell’iconologia democristiana, parodiata nel film del collettivo “Il Terzo Segreto di Satira”), ma i contenuti, i messaggi che si vogliono far passare. Per citare quello più eclatante inerente al cosiddetto “modello italiano”, quasi avessimo funto da exemplum per il mondo intero nella gestione di questa emergenza sanitaria. A livello europeo l’unico paese ad essersi più avvicinato a noi è stata la Spagna, i cui risultati non si possono certo considerare postivi; per il resto le modalità di contenimento e di gestione sono differenti, fare di tutta un’erba un fascio è mera retorica. La cosa peggiore però è il constatare come la gente non solo se ne fregasse, ma anzi addirittura tifasse per chi imponeva l’imperium giustificandolo proprio per quella “enorme” massa di menefreghisti e di irresponsabili; mi duole dirlo, ma gli indifferenti esistono ed esisteranno sempre, nessun decreto, nessun provvedimento, per quanto cruento e coercitivo, li potrà mai controllare. Negare ciò è giustificare una presa di potere autoritaria, è giustificare la violenza gratuita anche e soprattutto da parte di coloro che hanno il compito di difendere i cittadini; per i quali il quotidiano ‘la Repubblica’ qualche settimana fa aveva riportato “decalogamente” alcuni atti di violenza, ma che più recentemente si è potuto verificare proprio in data 25 aprile, peraltro verso anziani e donne. A me piace pensare che soluzioni democratiche siano e saranno sempre possibili, per quanto difficili e costose prima di tutto sul piano umano, in quanto richiedono forte senso civico, co-operazione e solidarietà; credo fermamente che le persone vadano trattate sempre come soggetti attivi, nei quali non si dovrebbe mai smettere di investire, prima di tutto in termini di responsabilità.

In questo contesto accanto al personaggio cattivo dell’ “italiano inobbediente” si profila, all’ombra di questi, un mito duro a morire, un motto che ha accompagnato tutta la storia repubblicana italiana, e non solo, quello dell’ “italiani brava gente”. Apparente contraddizione, però mentre il primo è la giustificazione dell’azione autoritaria e repressiva, il secondo ne rappresenta il risultato a livello mediatico: mors tua vita mea. L’ “italiani brava gente” è un retaggio della retorica colonialista fascista, come scrive lo storico piemontese Angelo Del Boca, considerato il maggiore esperto del colonialismo italiano, nel suo libro Italiani, brava gente? Un mito duro a morire. Questo volume tratta delle “gesta” del regime fascista in Africa dove «l’imperativo era quello di accreditare la favola che non era in atto una campagna coloniale di tipo imperialista, ma una generosa impresa del fascismo». Pur di fronte allo sbarco di carri armati, di cannoni, d’aerei da caccia e da bombardamento, dei lanciafiamme e di tonnellate di iprite e di arsine il motto mediatico era solo uno: “italiani brava gente”. È lo stesso artificio ipocrita per il quale una figura come Indro Montanelli può essere raffigurato come pater patriae, anche dopo aver sposato ed abusato di una ragazza eritrea di soli 12 anni (per farsi una rapida idea si può guardare: https://www.youtube.com/watch?v=N_2xZWu_Ak8), anche dopo tutte le sue azioni e le ideologie fasciste condannate solo sulla carta (la Costituzione n.d.a.). Ma d’altro canto il nostro Paese è nato nelle contraddizioni, già nel dopo-Liberazione la libertà e la democrazia nella resa dei conti si sono rivelate cartastraccia; come scrive lo storico cuneese Nuto Revelli in Le due guerre: «lo Stato democratico è rinato su fondazioni fasciste. La burocrazia è rimasta quella di prima. La cosiddetta “epurazione” si risolve in una beffa. Epurano gli straccetti, quelli che non contano nulla». A questi fa eco il professore Alessandro Barbero quando afferma che in Italia non c’è mai stato un processo di Norimberga o di Tokyo, ma un semplice mantenimento dello status quo: mantenendo così le forze fasciste nei ranghi delle forze dell’ordine. E questo spiega l’abuso della violenza incontrollata ed ingiustificata che ha accompagnato la storia d’Italia nel corso del XX e XXI secolo. Tanto per ricordare il 1° maggio 1947, la prima volta che veniva festeggiata in Italia questa ricorrenza, in località Portella della Ginestra membri della banda mafiosa Giuliano, appoggiati ed armati dalla Xᵃ MAS di Junio Valerio Borghese (lo stesso che una trentina di anni dopo tenterà il colpo di Stato) spararono contro una folla di contadini; risultato finale: undici morti, tra cui due bambini, e numerosi feriti. Ma la storia d’Italia è calpestata sempre da chiazze nere, troppo lunghe elencarle tutte anche solo sommariamente. Però a mo’ d’esempio si possono citare due emblematiche vicende inerenti alla sola città di Genova, l’una del 1960 per le proteste contro il governo Tambroni e l’altra nel 2001 per i tristi avvenimenti del G8; esempi di repressione ingiustificata ed incondizionata. Non solo i soggetti diventano oggetti, ma qui vengono relegati a “carne da macello”; nuovamente: mors tua vita mea. Per citare infine un evento più recente si può riprendere quanto scritto dal figlio di Nuto Revelli, Marco, anch’egli storico, circa le violenze subite dai No TAV nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005 dove, oltre le “tradizionali” manganellate e violenze, si arrivò alla distruzione intenzionale delle barricate con sopra i manifestanti inneggiando alle ruspe (vi ricorda qualcosa o qualcuno?); manifestanti che, è bene ricordare, erano un gruppo di cittadini molto eterogeneo e slegato da qualsiasi partito politico. Marco Revelli presente in prima persona sulla scena così scrive: « c’era, in quell’immagine fuggevole […], in quella decisione ottusa del muro contro muro contro un’intera valle, tutta la dimensione della crisi della nostra sinistra. Della sua divaricazione estrema dalla propria “gente” e dalla propria memoria in nome degli “affari” ». D’altronde chiunque fosse presente in quel giorno nell’allora Libera Repubblica di Venaus, donna o anziano, sano o invalido, sindaco o comune cittadino che fosse, aveva également ricevuto una “buona” dose di violenza, con conseguenti enormi danni fisici; ovviamente il caso fu archiviato e mediaticamente evaporato.

Per concludere può tornare quindi utile una riflessione finale di Del Boca che pone l’accento sul mondo del volontariato, un mondo che da solo dimostra quanto soluzioni più democratiche e responsabili siano possibili, un mondo che fa dell’uomo un soggetto capace di agire e di co-operare, perfino di aiutare: «un esercito senza generali, senza mostrine, senza medaglie, senza fanfare, che non percepisce salari e il cui solo compenso si esaurisce e si esalta nel gesto d’amore. Se ci sono italiani che meritano di essere definiti “brava gente”, nell’accezione vera, non autoassolutoria, non mitizzata, questi sono proprio gli splendidi e umili operai del volontariato». Festeggiare il 25 aprile o il 1° maggio non vuol dire solo ricordare, ma anche e soprattutto capire il loro significato, il loro messaggio; perché solo capendo l’importanza della democrazia si può agire di conseguenza, rispettando se stessi e gli altri, in qualità di soggetti coscienti, fatti di idee, non oggetti, assemblaggio indistinto di carne. Tutto il resto è [autoritarismo].





Il Terzo Segreto di Satira “Si muore tutti democristiani”, trailer: https://www.youtube.com/watch?v=tYR1NH044pc



Caparezza, “Il secondo secondo me”: https://www.youtube.com/watch?v=10DIJs67ReI

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