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Silvia Romano: maschilismo e islamofobia


La polemica nata attorno al ritorno della nostra connazionale Aisha Romano (ha deciso di cambiare nome, quindi è irrispettoso ostinarsi a chiamarla Silvia) dopo 18 mesi di prigionia in Somalia è un chiaro esempio di molti problemi che affliggono il nostro paese da un punto di vista sociale e culturale.

Islamofobia, maschilismo e sentimenti neocolonialisti banchettano nella testa dell'Italiano medio, supportato da giornali che, invece di analizzare con oggettività la situazione, preferiscono riportare in prima pagina titoli sensazionalistici e opinioni di tutti, fuorchè di esperti di politica estera.


La notizia non è "Una concittadina è stata riportata in Italia sana e salva dopo 18 mesi nelle mani del gruppo terroristico Al Shabaab", ma "Una concittadina si è convertita all'Islam". Se in un paese laico e democratico la conversione a una fede religiosa diversa dal Cattolicesimo fa più notizia dell'impegno dello Stato nella liberazione di una cittadina tenuta ostaggio da dei terroristi, abbiamo un problema.

La notizia non è "Una concittadina è stata riportata in Italia sana e salva dopo 18 mesi nelle mani del gruppo terroristico Al Shabaab", ma "Una concittadina si è convertita all'Islam". Se in un paese laico e democratico la conversione a una fede religiosa diversa dal Cattolicesimo fa più notizia dell'impegno dello Stato nella liberazione di una cittadina tenuta ostaggio da dei terroristi, abbiamo un problema.

Aisha ha sconvolto tutti per la sua immagine. Se fosse scesa a Ciampino dichiarandosi musulmana, ma in canotta e shorts, avrebbe ricevuto meno pressioni mediatiche e meno commenti (o, chissà, sarebbe stata additata come sgualdrina). E' il velo ad aver creato scalpore. Perchè una donna occidentale, italiana, indossa il simbolo dell'oppressione femminile? Questa domanda nasce dall'ignoranza: l'hijab, il velo che copre il capo (per essere precisi, Aisha indossava uno jilbab), è un esercizio di fede, è citato nel Corano con il significato di "barriera", "velo" tra l'umano e il divino e ogni donna può decidere se indossarlo o meno. Come spiega la scrittrice e consigliera comunale a Milano Sumaya Abdel Qader, una donna musulmana che sceglie di portare l'hijab o altri tipi di velo è femminista: fa del suo corpo quello che è più in sintonia con la propria persona e il proprio credo. «Non vi è costrizione nella religione» (Cor. 2,256) E', quindi, sbagliato e irrispettoso associare l'hijab alla sottomissione: non possiamo interpretare con i nostri filtri e pregiudizi personali una religione che non conosciamo.


Detto questo, esistono donne musulmane costrette dalla famiglia o dal marito a portare l'hijab o altri tipi di velo? Sì, ma la loro condizione di subalternità all'uomo ha radici culturali più che religiose. Il patriarcato è trasversale alle culture, è diffuso ovunque nel Mondo e si manfesta nelle forme più disparate. Alla base di tutti i maschilismi, però, c'è un'idea comune: l'uomo deve prevaricare sulla donna, sottometterla e prendere decisioni per lei. Ne consegue che una ragazza musulmana picchiata dal padre perchè rifiuta di indossare il velo non sia molto diversa da una donna laica o cattolica picchiata dal marito perchè va in giro con una minigonna. Nel caso specifico dell'Islam, per combattere la cultura maschilista all'interno della religione, alcune femministe islamiche intraprendono lo studio delle fonti e dell’esegesi classica, smontando le interpretazioni di alcuni versetti coranici e dando la loro visione. Il problema non sono le religioni in sè, ma il modo in cui le persone si approcciano ad esse e non si può generalizzare.

Aisha Romano ha dichiarato di aver scelto liberamente di convertirsi. C'è chi non le crede e, ergendosi a psicologo, le diagnostica la Sindrome di Stoccolma. C'è chi le crede e la accusa di aver tradito la patria, di essere un'ingrata. I commenti non si sono sprecati, ma la vera domanda è: cosa ce ne importa? Siamo in un paese laico, poter scegliere una professione di fede è un diritto garantito dall'articolo 19 della Costituzione, perchè ci dà tanto fastidio vedere un'italiana velata? Perchè non abbiamo interiorizzato questa laicità, crediamo che il nostro paese sia cattolico (ignorando che il velo sia presente anche nel Cristianesimo) e non riusciamo a considerare davvero italiani coloro che aderiscono a un diverso credo religioso. Soprattutto se il credo religioso in questione è l'Islam. L'Islam in Europa e in America è poco conosciuto e l'11 settembre 2001 ha trasformato questa ignoranza in paura e ostilità nei confronti di tutti i musulmani, visti come una minaccia per il proprio paese e per la propria identità. Si tratta del fenomeno dell'islamofobia, che sfocia in discriminazioni, esclusione dalla vita politica e sociale e violenze. Chi ha pagato le conseguenze più gravi dell'ascesa del terrorismo islamico, però, sono le popolazioni, a maggioranza musulmana, dei paesi in guerra e in condizioni di forte instabilità politica.

Non gli europei e gli americani.

Siamo in un paese laico, poter scegliere una professione di fede è un diritto garantito dall'articolo 19 della Costituzione, perchè ci dà tanto fastidio vedere un'italiana velata?



Infine, c'è un'ultima, importante considerazione da fare: Aisha Romano è una donna e moltissime delle critiche che ha ricevuto le sono state rivolte proprio in quanto tale. Pensate che stia esagerando? D'accordo: Luca Tacchetto, Alessandro Sandrini e Sergio Zanotti vi dicono qualcosa? Immagino di no. Sono tre ostaggi italiani liberati nell'ultimo anno, tornati in italia convertiti all'Islam. Nessuno ne ha parlato, nessuno ha espresso giudizi non richiesti sulla loro fede. Perchè? Perchè le scelte degli uomini bianchi non creano scandalo.

Crea scandalo, invece, una donna con un'immagine diversa da quella che la società le ha imposto, una donna che indossa uno jilbab. "Non può aver scelto da sola di convertirsi" significa "Le donne non sono capaci di prendere decisioni in autonomia". L'italiano si sente obbligato ad assumere un atteggiamento paternalistico, si rifiuta di credere che una donna sappia da sola cosa sia meglio per se stessa.

Inoltre, molti si sono infastiditi perchè è scesa dall'aereo sorridente e ha dichiarato di non aver subito torture e stupri. Siamo, forse, eccitati dall'immagine della donna piegata all'uomo, violentata, umiliata? Non è normale che, vedendo una ragazza liberata che sta bene, ci chiediamo con morbosa insistenza perchè non abbia subito il peggio del peggio, invece di provare sollievo.


Il post più maschilista di questi giorni è stato pubblicato dal deputato leghista Alessandro Morelli: una foto di Aisha in minigonna, prima del suo rapimento, messa a paragone con la foto in cui indossa il jilbab, appena atterrata all'aeroporto di Ciampino. La didascalia:"Libera?". Sì, lei è libera. Ha scelto da sola di aderire all'Islam, perchè dobbiamo ostinarci a non crederle? E, anche se non fosse vero, chi siamo noi per intrometterci nella sua vita privata? Vogliamo smetterla, ogni volta che si parla di una donna, di giudicarla senza alcun ritegno?


La cosa più vergognosa è la solita, becera strumentalizzazione del corpo femminile. E sapete perchè? Perchè, in un altro contesto, quella stessa foto con il vestitino blu sarebbe stata utilizzata per il classico "Se l'è cercata". L'hanno stuprata. Se l'è cercata, aveva la minigonna.

Se l'è cercata. Basta dare un'occhiata a Instagram e Twitter per leggere innumerevoli commenti contenenti questa frase, come se fare volontariato fosse una cosa di cui vergognarsi, un atto spregevole che merita di essere punito. "Ma io dico, come fai a mandare tua figlia in un paese pericoloso?" cita un commento sotto un post di Instagram. Non si tratta di una critica costruttiva ed elaborata sulla sicurezza con cui operano le Ong e le associazioni e sul ruolo della Farnesina, ma del solito patriarcato che torna con prepotenza: non importa se, quando è partita per il Kenya, Aisha aveva 22 anni e, in quanto maggiorenne, godeva della piena capacità di agire giuridicamente. E' una donna e una donna non sarà mai davvero libera di prendere da sola delle scelte, dovrà sempre essere controllata dalla famiglia o dal futuro marito.


E poi è l'Islam che opprime le donne. Certo.


Beatrice D'Auria

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