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"La Bestia": manuale di manipolazione politica del XXI secolo.

Il nome: “The Beast”: così si chiamava la “macchina” di propaganda utilizzata da Barack Obama per giungere alla Casa Bianca; a lei si ispira per il nome, ma la “bestia” di questo articolo è molto più vicina alle nostre case, rispetto a quella statunitense: anzi, è proprio dentro alle nostre case. O meglio, tasche.

La “Bestia” di cui parliamo è la grande macchina social creata dal consulente d’immagine, nonché spin doctor della Lega, Luca Morisi. Macchina social utilizzata dal Segretario della Lega Matteo Salvini per riscuotere consensi e guadagnare ogni giorno elettori e sostenitori.

Che cos’è “La Bestia”: così chiamata anche dai dirigenti della Lega, la macchina social che supporta Matteo Salvini è un sistema che controlla le reti social dello stesso, e analizza quali sono i post e i tweet che ottengono i migliori risultati, e che tipo di persone hanno interagito.

Dietro al sistema vi sono 35 esperti digitali che coprono la vita pubblica e privata di Salvini, 24 ore al giorno, tutti i giorni, festività comprese. Unico vincolo? L’assoluta riservatezza.

Come funziona “La Bestia”: Per raccogliere fan like e followers è cruciale la scelta dei messaggi: più toccano temi divisivi e più generano partecipazione (come le campagne contro gli immigrati #finitalapacchia, #prima gli italiani e #portichiusi); funzionano gli slogan motivazionali («la Lega continua a volare»), gli attacchi ai rivali politici («Sono ministri o comici?»), le immagini di vita privata («Mano nella mano» come commento a un post con la figlia), il coinvolgimento degli utenti («Siete pronti?»).

Lo staff utilizza anche il software che individua l’argomento del giorno più discusso in rete, e consente di adeguare i messaggi da lanciare. Dal tortellino al pollo, fino a Mahmood. A caldo si era schierato contro la vittoria del cantante, salvo poi fare marcia indietro e lodarlo. Un ruolo strategico è affidato ai sondaggi.

In seguito, la diffusione del messaggio del Capitano è capillare grazie ai ripetitori digitali: almeno 800/1000 fedelissimi ricevono il link dei post su una chat WhatsApp e immediatamente lo condividono sulla propria pagina Facebook e lo rilanciano in altre chat. Contemporaneamente i canali fiancheggiatori inseriscono lo stesso contenuto su più pagine pubbliche. Vietati invece i commenti con #49 milioni, #Siri o qualunque parola evochi uno scaldalo in cui è coinvolta la Lega.

«L’esercito va nutrito e motivato», è il Morisi-pensiero: affinché tutti si sentano protagonisti, per la manifestazione di Roma del 19 ottobre sono stati creati cartelloni automatizzati con la propria foto di fianco a Salvini.

In tutti i messaggi e post che la macchina genera (in maniera mirata), non si riesce a individuare un preciso progetto politico; piuttosto, ciò che si individuano sono una molteplicità di messaggi che creano un coinvolgimento automatico, ed un sostegno che si avvicina al fanatismo.

I costi della “Bestia”: il sistema, ovviamente, presenta un costo: due milioni di euro sono donati dai contribuenti (187mila) attraverso il 2x1000.

A coprire le spese rimanenti ci pensano la snc di cui fanno parte Morisi e il suo socio Paganella, e i contratti che Salvini, durante i 14 mesi al Viminale, ha fatto appositamente per 6 componenti della “Bestia” (tra cui Paganella e Morisi), per continuare a sostenere la macchina (inutile ricordare che si tratta di soldi pubblici).

Separandoci dalla “Bestia”, analizziamo quali sono i quattro pilastri della comunicazione di Salvini:

Il primo è lo Zeitgeist, lo spirito del tempo caro a Hegel e teorizzato nel perimetro della politica italiana da Mario Sechi. Salvini, e su un altro piano il Movimento 5 Stelle, rappresentano il pezzo di offerta politica oggi percepito più in linea con la trasversale e radicale richiesta di discontinuità e di protezione. I dati pubblicati in Una nuova Italia confermano che gli elettori hanno premiato 5 Stelle e Lega perché occupavano, nello spazio politico, i quadranti dell’anti-sistema, del sovranismo, e dell’intervento dello Stato sul welfare,

tendenza comune ai movimenti della destra europea. Salvini è ben consapevole di avere lo Zeitgeist dalla sua parte. “Il popolo contro l’establishment”.

Il secondo strumento, collegato, è l’appello alla comunità. Salvini vanta una comunità di seguaci – followers digitali, con i suoi 2,7 milioni di like su Facebook, ma non solo – motivata e compatta. Diversa ad esempio dalla comunità che sosteneva con vigoroso entusiasmo Matteo Renzi. Che era eterogenea, non fideistica. Che vedeva in Renzi un mezzo attraverso il quale dar voce a una generazione e cambiare la società italiana. Salvini per i salviniani è, invece, un “Capitano” al quale dare carta bianca, al quale affidarsi.

Questa comunità è oggi un vantaggio competitivo, in epoca di generale de-mobilitazione e sfarinamento della partecipazione politica. Tanto più se è una comunità attivabile sia online sia offline, come testimonia il fatto che Salvini ha preso parte a circa 250 iniziative sul territorio negli ultimi cinque mesi. Da Nord a Sud. Salvini sa di poter contare su questa sua “comunità salviniana” come fonte di legittimazione e validazione della sua leadership, anche nel rapporto con i media.

La terza chiave è la polarizzazione. Proprio perché viviamo tempi nei quali meno persone partecipano in prima linea alla vita dei partiti, polarizzare paga. Bisogna individuare nemici, tangibili o simbolici, con i quali stabilire una dinamica oppositiva. Per Salvini è stato Alfano quand’era al Viminale, Renzi, la Fornero; ora Saviano, lo spread, Macron, la nave della Ong, il richiedente asilo che (post su Facebook del 26 febbraio) lancia sassi sulle auto ma anche il magistrato (di sinistra?) che dopo pochi mesi lo mette in libertà. Recepire la comunicazione salviniana vuol dire recepire una costante dinamica oppositiva che polarizza lo scontro e individua antagonisti. Sull’immigrazione, su tutte, che è la vera radice del consenso per Salvini, un fenomeno da mantenere in prima pagina perché più è saliente nel dibattito più questo premia chi è percepito come più in grado di dare risposte.

La conseguenza della polarizzazione è che, siccome la (social) media logic premia gli stilemi dello “scontro”, del “duello”, della “lite”, Salvini polarizza perché sa che polarizzare gli consentirà di scatenare nicchie, di eccitare tifosi e attivisti di una e dell’altra parte, e così di dominare l’agenda.

Il quarto elemento cognitivo è la “rivoluzione del buonsenso”. Un apparente ossimoro che ha dato il nome alla campagna di posizionamento lanciata dalla Lega a fine 2017. Chi pensa che Salvini sia solo toni incendiari e punti esclamativi sui social trascura un pezzo importante del suo posizionamento comunicativo. Non solo perché ha impresso alla Lega un profondo rebranding (via il verde e la Padania, dentro il blu e i cartelli trumpiani).

Ma anche perché, nella sua retorica, “il voto per la Lega è un voto di normalità”, “è giusto riportare un po’ di normalità in Italia”. Enunciazioni pacate, di buonsenso, che celano però tracce di un sottotesto nativista. Nell’immaginario della “normalità”, della “tranquillità” del “Paese normale” insidiato da minacce esterne e comportamenti devianti interni si nota un tratto comune a molta della destra europea. Il Paese del buonsenso salviniano, in fondo, richiama all’Italia che c’era prima (prima degli immigrati, prima dell’Euro?).

Come il “great again” dell’America cristallizzata nello slogan elettorale di Donald Trump.

Tirando le fila, quella che si reputa essere una strategia incosciente, in realtà, è un geniale piano di rivoluzione nel campo della comunicazione politica. Eliminando il dibattito, proponendosi come unico difensore verso un nemico comune, come già nella Storia abbiamo visto fare. Sperando che svolgimento e finale, questa volta, conoscano altre pagine.

Immagini, Informazioni e alcuni testi sono tratti da:

- Il Corriere della Sera;

- L'Espresso - Repubblica;

- Rollingstone.

Lacanna Gabriele

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