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NUOVE PROSPETTIVEALL'OMBRA DI UNA PALMA

In data 26 ottobre si è tenuta l'apertura del centro culturale islamico “La Palma” in Via Aquila a Torino, i fautori del progetto citano il comune tra i ringraziamenti, è polemica. Problemi di sicurezza o chiusura mentale?

Nel 2017 in via Aquila la polizia municipale andava sequestrando un fabbricato, precedentemente adibito a magazzino sanitario e successivamente trasformato in moschea. Le diverse imprecisioni sui permessi e sui progetti presentati all'ente comunale che si occupa di edilizia privata furono le cause principali di questo sequestro. A più di due anni da quell'episodio nella periferia torinese la comunità islamica è pronta per il taglio del nastro, questa volta in piena regola. Non si fanno attendere però le prime provocazioni sul caso ed a scatenarle sono due rappresentati del partito politico Fratelli d'Italia, un parlamentare ed un capogruppo della regione. Secondo questi ultimi l'immobile precedentemente confiscato riaprirebbe sotto le false sembianze di centro culturale islamico con il patrocinio comunale. Il comune del capoluogo piemontese si è difeso dalle accuse negando qualsiasi tipo di finanziamento economico in prima persona, ma facendo presente che il contributo comunale deriva dal prestito di qualche “sedia o tavolo” e con la concessione del patrocinio. Inoltre si avrà la chiusura della strada come per tutte le associazioni organizzatrici di eventi di questo tipo. Il dibattito verte però sull'impossibilità di definire questo centro culturale come vero e proprio “luogo di culto”, in quanto la legge italiana presenta una mancanza sul riconoscimento legale per gli spazi di aggregazione islamici. Il sistema legislativo italiano, infatti, regola la libertà di culto, ma al contrario resta vago sugli spazi adibiti ad esso. L'articolo 19 della costituzione cita testualmente: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. In queste parole infatti si può notare come l'esercizio di una qualsiasi fede possa essere sostenuto sia in spazi pubblici che in spazi privati. Se ciò non bastasse ci si può rifare alla CEDU (Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali), dichiarazione proclamata dall'assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Questa fonte di legge, che va oltre per importanza anche alla costituzione italiana, affronta questo tema nell'articolo 10. In esso vengono sottolineati con forza due diritti dell'uomo, in questo campo: il primo legato alla libertà d'espressione, il secondo legato alla libertà “di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”. Entrambi i punti citati da questo articolo non sono da sottovalutare. Inerente al nostro caso è sicuramente la seconda parte dell'articolo che invita le cariche amministrative di ogni nazione, non solo a far rispettare la libertà d'opinione, ma anche a garantirne la diffusione senza alcuna ingerenza. A tutti i portavoce dei molti “no alle moschee” che spesso animano l'opinione pubblica, bisognerebbe ricordare questi principi fondamentali a cui abbiamo aderito come nazione in tempi non sospetti ed a cui siamo chiamati quotidianamente a rispondere, senza che interessi esterni influiscano sulle scelte prese. Abbandonando per un attimo l'ambito legislativo, sarebbe opportuno non dimenticare che queste tematiche dovrebbero essere affrontate pensando alla nazione, prima come insieme di uomini e poi come insieme di soggetti giuridici. L'uomo professa la propria fede sin dall'antichità, per questo molto spesso è stato oggetto di persecuzioni e stermini che andavano oltre le motivazioni prettamente religiose, ma richiamavano quasi sempre motivazioni di altro genere. Le diverse oppressioni scatenate contro alcuni dogmi susseguitesi nella storia, da quelle dell'antica Roma a quelle più moderne sostenute dai regimi totalitari, hanno sempre mirato ad un maggiore controllo spirituale e fisico dell'uomo più che alla salvezza dello stesso. Nonostante tutti questi esempi che troviamo sui manuali di storia, spesso ancora ci ostiniamo a contrastare la fede, solo perché diversa da ciò in cui noi crediamo, senza mai aprirci invece alla conoscenza del nuovo. Come in tutte le cose, così anche nella fede, un atteggiamento di apertura è sempre più proficuo che un atteggiamento di conservazione e riservatezza. L'aprirsi verso nuove ideologie con curiosità non porta ad una perdita dei valori a cui quotidianamente ci rifacciamo, ma può arricchire questi ultimi ed in particolar modo noi come uomini, prima che come cittadini. Il caso di polemiche sulla costruzione di nuovi luoghi di culto non sono una novità nella nostra nazione sempre più cosmopolita, spesso ci ritroviamo ad aver a che fare con atteggiamenti di conservazione del tutto irrazionali, come penso siano in questo caso. Infondo l'autorizzazione a poter professare un proprio credo in un luogo adatto, dovrebbe essere umanamente sacrosanta e regolarizzata chiaramente dalle autorità competenti.

Tutto ciò chiaramente, dovrebbe normalizzato secondo decreti che rispettino il buon costume, così come già citato dalla costituzione. Questo tema prima ancora di essere affrontato in ambito legislativo però, bisognerebbe che fosse compreso a pieno. Il significato di garantire a tutti la possibilità di avere luoghi adatti in cui professare le propria fede, anche se diversa da quella con cui siamo abituati a confrontarci, dovrebbe essere appreso da tutti come un passo avanti in una società sempre più globalizzata. Anche il nostro paese, spesso indietro sul tema della globalizzazione, dovrebbe aprirsi maggiormente ad atteggiamenti di tolleranza, che più che essere imposti dovrebbero essere insegnati.

I mezzi per i quali questo processo possa riuscire nel miglior modo possibile ci sono tutti, anche se molto spesso si fa fatica a vederli.

La speranza del venir meno di questi episodi di intolleranza la si riserva ai più giovani, in cui è insito ormai il concetto di cambiamento. In essi ricade la responsabilità, se così si può chiamare, dell'acquisire una nuova prospettiva della realtà, che sia di larghe vedute. Chissà che tutto ciò non possa avvenire in luoghi di confronto come quello “La Palma”, nel torinese.

Il cambiamento collettivo parte dai singoli che uniti da un obbiettivo comune possono portare ad un cambio di rotta per troppo tempo teorizzato, ma ancora realmente poco praticato. Francesco Leotta

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