top of page
Blog: Blog2
  • Immagine del redattoreProspettive Magazine

Predappiofava

«Noi viviamo di passato. Siamo degli stracchi ‘rentiers’ che vivacchiano nell’accumulo lento del passato»

Predappio, li 27 ottobre 2019, cimitero di San Cassiano: gli Arditi d’Italia hanno organizzato una manifestazione in occasione del 97° anniversario della marcia su Roma. Per l’occasione un corteo di circa tremila persone si dirige verso la cripta di Benito Mussolini; tra i numerosi cartelli e slogan si legge la frase: «non siamo gli imbalsamatori del passato, ma gli anticipatori del futuro». La celebrazione prevede, accanto alle letture ed ai ossequiosi silenzi, anche slogan e saluti romani.

Predappio, li 27 ottobre 2019, teatro comunale: l’Anpi ha organizzato l’Anpi Folk Fest per festeggiare la ricorrenza del 75° anniversario della liberazione di Predappio dai nazifascisti con spettacoli, musica dal vivo e una tagliatella ‘antifascista’. A ciò l’ulteriore invito a deporre un fiore sul monumento dei partigiani sito a poca distanza da Predappio.

Queste due entità culturali sono due delle più celebri facce della stessa medaglia, ovvero l’Italia, che hanno continuato a fronteggiarsi a partire dal secondo dopoguerra e che tutt’ora costituiscono un tema importante di discussione, la cui portata non va sottovalutata. Per questo motivo il presidente della sezione provinciale dell’Anpi, Gianfranco Miro Gori, sottolinea l’importanza che la cripta torni a dimensione privata, avente come unico fine la commemorazione di un defunto. Il rischio è quello di creare un mausoleo, un luogo pubblico dove si fa apologia, in particolar modo del fascismo, reato previsto dall’art. 4 della legge Scelba nell’ordinamento giuridico italiano. Del resto le vicende che ancora oggi si verificano bastano a dimostrare come la questione sia ancora viva e tutt’altro che risolta, a queste si possono aggiungere le numerose riflessioni di intellettuali, tra le quali spicca il breve, ma intenso libro di Umberto Eco “Il fascismo eterno”. A queste voci si contrappongono quelle di figure sì popolari, quanto di poco pregio culturale in materia, tra le quali spicca un recente libro pubblicato da Bruno Vespa dove titola un paragrafo “Perché il fascismo non può tornare”. È inevitabile che ogni evento storico conservi in sé una sua peculiarità e che ogni riapparizione consti di ovvi cambiamenti dovuti ai nuovi contesti temporali e culturali; detto ciò ogni fatto storico non appare mai come a sé stante, ma è sempre in relazione con eventi che sono a lui preceduti. Un nuovo fascismo è cosa più che reale, è dato concreto e fattuale, inutile discutere in merito; la vera domanda semmai è un’altra, come fa riscuotere ancora oggi un così grande successo la figura di Mussolini? Come e perché si finisce con l’idolatrare un defunto? Per quale motivo si arriva ad affermare che “Mussolini non è mai stato ucciso”?

Per tentare di rispondere a questi interrogativi può tornare utile riprendere e analizzare alcune figure che hanno potuto sperimentare direttamente il fascismo; tra queste spicca per genialità e palpabile ironia Carlo Emilio Gadda, scrittore, poeta e ingegnere che ha segnato il Novecento italiano. Si tratta di un autore che, con vaglio ponderato e riflessivo, analizza criticamente un contesto storico nel quale si trova a vivere al fine di coglierne, in un’ottica egoistica, pregi e bisogni. La sua non è mai stata un’adesione di tipo ideologico di pirandelliana memoria; del resto difficilmente cadeva nell’enfasi retorica tipica della propaganda fascista, con annesse formule di rito e rievocazioni mitiche e mitologiche. Il suo era principalmente un interesse pragmatico volto al mantenimento di un personale ‘status quo’, dove poter continuare a godere di quei privilegi e di quel prestigio concesso alla piccola borghesia urbana. Ciò però non toglie una certa simpatia per alcuni aspetti politici, come il concetto di autarchia e il carattere reazionario mostrato dal partito fascista nei confronti della politica liberale del tempo.

Quello che quando fu pubblicato nel 1967 apparve poco più che una bizzarria gaddiana, oggi invece si mostra come opera capitale, dove l’autore esplora il mondo, inventa una sua psicologia, una propria sociologia ed una personale metafisica. La complessità di questo saggio-pamphlet, dal titolo “Eros e Priapo” è quello di creare una storia non solo dei fattori esterni, o oggettivabili, ma anche degli aspetti dell’inconscio, della psiche umana; inevitabili gli studi e le basi psicanalitiche di matrice freudiana intrapresi da Gadda per la composizione del volume. Non si tratta né di un’inquisitoria né di un ‘mea culpa’, è semplicemente un’analisi della sua partecipazione passiva, ovvero narcisistica, allo spettacolo del potere della maggioranza, vera o presunta, reale o forzata che fosse, dell’esperienza fascista. Lo stesso stile e registro linguistico è quanto di più eterogeneo e complesso che si potesse produrre, frutto di quell’isteria collettiva che era durata per ben ventitré anni; il tutto ambientato in un contesto sinistro e cupo, evocatore del dramma shakespeariano “Macbeth”. Mussolini ha in tutto ciò una sua centralità, del resto basti notare i numerosi nomi attribuitigli e le ossessionanti menzioni; la nomenclatura cela al suo interno prove di quella schizofrenia erotica che Gadda andava delineando, tanto da fare del semplice nome un ritratto personale. Gadda investe la propria energia satirica nell’elaborazione di una macrometafora di uno stupro della collettività operato da Mussolini stesso; proprio in questo aspetto c’è la chiave di lettura del titolo dove ‘Eros’ scaturisce da una cospirazione di istinti vitali (collettivi) tesi alla congiunzione carnale col tiranno, mentre ‘Priapo’ rinvia all’esibizionismo perverso di quest’ultimo. L’immagine fallica di Mussolini dipinta da Gadda prelude pertanto ad una forma di sconvolgimento naturale dello sviluppo umano a una fase narcisistica autoerotica della propria psiche che pende dalla violenza della seduttiva retorica del “duce”. Pertanto alla disgregazione del soggetto, che si trova privo di ogni consistenza ontologica, risponde il fabbisogno unitario di un oggetto di consumo che viene a delinearsi nell’ossequiosa venerazione di idealtipi, quali il Duce, la Patria e via dicendo. La critica gaddiana al fascismo risiede appunto nel volere omogeneizzare una società culturalmente diversificata, cercando di conformare soggetti atomizzati ad idee e comportamenti prevalenti secondo il principio del bene comune. La comunicazione massificata offriva così un consumo irriflesso della società, dove il linguaggio della propaganda fascista rappresentava un universale al quale modellarsi. La questione si combatte pertanto sul piano linguistico, per tal motivo Gadda trova un riparo solido nel meccanismo del pastiche, unico modo per esorcizzare un demone potenzialmente presente nell’io solitario, unico scherma possibile di fronte alla condizione d’invasamento propria della volontà di potenza espressa nella metafora fallico-erotica.

Il rischio già menzionato da Gadda è quello di cadere in un circolo vizioso caratterizzato da un narcisismo consumistico, per il quale Mussolini ha mostrato e concesso la sua immagine come attrattiva per il popolo, tanto da meritargli il gaddiano nomignolo satirico di “batrace stivaluto”. Ad ulteriore dimostrazione basti vedere come ancora oggi molti commercianti di Predappio spingano per la riapertura pubblica della cripta Mussolini perché questo commercio incentiva le loro attività, usando forme più o meno condivisibili di necro-business. Da persona distaccata e riflessiva Gadda invita infine a riflettere con particolare attenzione sulla lingua, che pare strumento casuale e meramente pragmatico di comunicazione, quando invece per e con essa si affrontano ancora oggi i principali dibattiti inerenti a tutti gli aspetti della vita umana. Si può perciò tranquillamente sostituire il vecchio motto ‘cuius regio eius religio’ con il più appropriato ‘cuius regio eius lingua’. La strumentalizzazione dell’atto linguistico è una prerogativa della storia moderna e contemporanea, a cui bisogna prestare particolare attenzione, anche perché spesso non c’è sufficiente informazione e coscienza critica. Quello che Gadda vuole dimostrare non è una soluzione salvifica di fronte al fascismo, ma una presa di coscienza del fattore linguistico e dei suoi meccanismi inconsci. Solamente con un esercizio linguistico molto flessibile ed eterogeneo, pronto a scendere nella profondità della mente umana, sfiorando le proprie ossessioni ed i propri deliri, il soggetto può prendere coscienza di ciò che è e di ciò che lo circonda, al fine di vagliare criticamente le numerose informazioni che lo bersagliano.

Andrea Giraudo



60 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page