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THE HATE SPEECH

Aggiornamento: 16 nov 2019

The term “hate speech” shall be understood as covering all forms of expression which spread, incite, promote or justify racial hatred, xenophobia, anti-Semitism or other forms of hatred based on intolerance, including: intolerance expressed by aggressive nationalism and ethnocentrism, discrimination and hostility against minorities, migrants and people of immigrant origin.

Quella che qui sopra è riportata è la definizione del Consiglio d’Europa per quello che, tradotto letteralmente in italiano, significa “Discorso di incitamento all’odio”. Analizziamone gli elementi, e cerchiamo di capire come mai è diventata un’emergenza internazionale.


Caratteristiche

Le parole: “incitare, diffondere, promuovere, istigare; per taluni casi, giustificare”; atti, gesti e comportamenti offensivi e di disprezzo di persone o di gruppi assumono la forma di un incitamento all’odio, in particolare verso le minoranze, sorrette da etnocentrismo o nazionalismo aggressivo.


i luoghi: la scena pubblica in tutte le sue manifestazioni, sia la capillare diffusione attraverso vari mezzi di comunicazione e in particolare sul web;


gli obiettivi: uno specifico gruppo di persone. Nella definizione si parla in particolare di minoranze etniche e religiose. Si possono inoltre aggiungere altre categorie di gruppi a rischio di discriminazione: donne, anziani, giovani, diversamente abili, immigrati/emigrati e persone LGBTI.


Quando è stato utilizzato per la prima volta il termine? L’espressione hate speech, nonostante non sia indicata nella Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), è stata usata dalla Corte per la prima volta l’8 luglio 1999. La Corte ha però evitato una definizione precisa del fenomeno (nel timore che ciò limitasse il proprio futuro raggio d’azione).


La definizione del dizionario di Oxford: intenso ed estremo sentimento di avversione, rifiuto, ripugnanza, livore, astio e malanimo verso qualcuno.


Come si è deciso di intervenire in Europa: l’Unione europea con l’adozione della decisione quadro 2008/913/GAI del Consiglio del 28 novembre 2008, nella lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia, ricorre al diritto penale. Secondo questa decisione gli Stati membri devono garantire che siano punibili i discorsi di incitamento all’odio, intenzionali e diretti contro un gruppo di persone o un membro di essi, in riferimento alla razza, al colore, alla religione o all’etnia. Deve risultare, altresì, punibile l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio, quale che sia la forma di diffusione: scritti, immagini o altro materiale. Lo stesso dicasi per l’apologia o la negazione dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e di quelli di guerra e, infine, quanto ai comportamenti atti a turbare l’ordine pubblico o minacciosi, offensivi e ingiuriosi. La stessa Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea (OSCE) si è impegnata, con la decisione 9/2009 “Combating hate crimes”, a riconoscere e sanzionare i crimini dell’odio in quanto tali, cioè basati su motivi razzisti o xenofobi.


Come si è deciso di intervenire in Italia: Basti ricordare la legge 13 ottobre 1975, n. 654, di recepimento della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale del 1966 e il decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, “decreto Mancino”, che reprime l’incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Nel corso della XVII Legislatura è stata approvata invece la legge 16 giugno 2016, n. 115, che recepisce la già ricordata decisione quadro europea 2008/913 GAI, ed attribuisce rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah, ma in genere di tutti gli atti di genocidio e di crimini di guerra e contro l’umanità.


Del 30 ottobre, invece, la mozione approvata in Senato per l’istituzione di una apposita commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, che vede come prima firmataria la senatrice, sopravvissuta alla Shoah, Liliana Segre.

Una funzione che preme sottolineare, insieme a quelle di indicizzazione, ricerca e sistematizzazione dei dati raccolti attraverso appositi studi sociologici, è quella di poter “segnalare agli organi di stampa ed ai gestori dei siti internet casi di fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche, quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche, richiedendo la rimozione dal web dei relativi contenuti ovvero la loro deindicizzazione dai motori di ricerca” (testo tratto dalla mozione stessa).


La disinformazione e l’odio promosso sui social network, attraverso la manipolazione, l’omissione e la strumentalizzazione di fatti e notizie, deve essere arginata al più presto.

Questa necessità è giunta finalmente nelle camere della politica, di cui una parte è comunque sorda: lo dimostra il fatto che sono riusciti a trasformare come “iniziativa di parte” anche la risposta della parte politica ad una concreta e tragica emergenza, per la quale servirebbe unità perlomeno formale, in Parlamento.



Nonostante i richiami e i “lamenti” che giungono dalle ormai stremate istituzioni, questa parte della “pseudo – politica”, fatta di slogan e proposte che non superano le 5 parole al massimo, prosegue nella campagna di disseminazione dell’odio, annientando il dibattito politico e soprattutto trasformando l’elettore a tifoso ultrà.

Un elettore pronto a ignorare del tutto l’evidenza in favore del più cieco e becero opportunismo di chi, pronto a giocar sulla pelle di altri esseri umani, baratta i voti con promesse trascendenti i veri problemi che oggigiorno infliggono il nostro Paese.

Lacanna Gabriele



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